Nos vemos, sin fecha ni horario fijo, en algunas pantalla o sintonía radio italiana o española. Y lo mismo ocurre en medios escritos. Tengo la inmensa suerte de no depender de nadie, de no deber nada a nadie y de poder opinar libremente cuando y donde solo yo lo considere oportuno.
«Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza»
«No habéis sido hechos para vivir como brutos, sino para seguir virtud y conocimiento»
Dante Alighieri, "La Divina Commedia", Inferno - canto XXVI

sábado, 24 de octubre de 2015

(221) Amare "a momenti", amare "a singhiozzo"
Amar "por tramos", amar "intermitentemente"



La manipolazione del linguaggio degli uni verso gli altri o degli altri verso sé stessi, mi ha sempre interessato, no solo dal punto di vista sociologico ma anche da quello etico e morale. Perché manipolare, travisare, forzare le parole per detonare una reazione utilitaristica, che si tratti di marketing o di relazioni sociali e interpersonali non muta il fondo della questione, è troppo spesso un esercizio – pianificato, permissivo o pienamente consapevole – che conduce all’ottenimento di un beneficio, quasi mai “pulito”. Per chi emette, ma anche per chi riceve e adotta il messaggio.
Pensiamo agli slogan, costruzioni linguistiche la cui finalità è concentrare in una frase quel furbesco equilibrio tra informazione, messaggio ed effetto – sia questo sorprendente, dirompente, sconcertante o ammiccantemente complice – la cui finalità è ottenere un risultato: comprare il prodotto senza pensarci troppo.

È una strategia cui si ricorre dalla notte dei tempi, da quando l’essere umano cominciò a comunicare verbalmente per poi farne tutta un’arte con la scrittura. E non parliamo dell’avvento della radio, poi della televisione ed infine, è cronaca del nostro tempo, del moltiplicarsi di vie di comunicazione – e persuasione – offerte dall’intricata e capillare ragnatela instaurata con la digitalizzazione, che ci bombarda attraverso le vetrine e altoparlanti della web e delle reti sociali, sempre più dinamiche e incalzanti.
Mi è accaduta una cosa curiosa. Stavo leggendo come nacque “Katyusha”, l’arcinoto motivo popolare russo cantato da centinaia di tenori. Una delle teorie sulla sua composizione punta verso una delle tante lettere-poesie che una ragazza inviava al suo amato soldato, lungamente impegnato nel fronte bellico. La lontananza prolungata, dunque, incontri rarissimi e molta, molta nostalgia seppur nella certezza della continuità del sentimento che li univa.
Più tardi, ed è strano che non la vidi a suo tempo, in una delle reti che frequento e per quegli strani scherzi dell’intertestualità e dell’ipertesto informatico, attraverso Google sono incappato in questa frase: “Se ti amano a momenti, è meglio che non ti amino”. 
Una frase ad effetto, istintivamente convincente e sulla quale, di primo acchito, si è tentati di propendere per aderire senza troppe titubanze. Se però ci soffermiamo su quanto stiamo leggendo, su ciò che si afferma in quella frase, non tardiamo a renderci conto dell’inconsistenza di questa “reductio ad absurdum” della famiglia degli slogan imparentati con la letteratura rosa strappalacrime. Perché se il verbo utilizzato è “amare”, con tutto ciò che significa e comporta, si tratta indubbiamente di un verbo che dalla notte dei tempi si alimenta con corrente continua, mai con quella alternata.
 Ricordo un fortunato spot televisivo che fece furore e provocò modi di dire popolari, molti anni or sono, quando al telefono una ragazzina chiedeva alla sua dolce metà: “Ma quanto mi ami?”, “Ma mi ami proprio sempre?”. Linguaggio pubblicitario, semplice, diretto, che punta all’effetto ma senza troppe sottigliezze quanto al reale significato di ciò che si sta dicendo. L’intenzione, utilizzando una frase contradditoria (per l’appunto, suggerire che si può amare “a momenti” o dipendendo dalla frequenza con cui ci si vede o si comunica) era evidentemente suscitare attenzione, catturare il potenziale cliente della telefonia cellulare e infilare nel suo subliminale qualcosa come “in ogni caso, il telefono dà continuità all’amore”.
Forzatura delle parole, dunque, di quelle che ascoltiamo e leggiamo continuamente. In questo caso si stravolge il significato di un verbo così sublime come “amare”, che esige continuità, magari con soluzione di continuità. Ma da quando comincia a quando eventualmente si conclude, non esiste la possibilità di “amare a singhiozzo” o “amare a momenti". Salvo che non si assimili l’assurdità del concetto, spacciandolo per possibile, o per spiegare e liquidare una vicenda altrui che non si comprende, oppure per convincere sé stessi sorvolando sull’assurdità dell’enunciato.
Potremmo fare mille esempi e affondare nella cronaca e nella letteratura di tutti i tempi, ma è sufficiente fare ricorso alla realtà quotidiana e a milioni di situazioni di cui tutti o la maggior parte di noi abbiamo notizia. È amore “a momenti” quello di un pescatore atlantico o del tecnico di una piattaforma petrolifera marina che trascorre sei, otto mesi l’anno lontano dalla famiglia, poi una visita di alcuni giorni e si rincomincia daccapo perché c’è da mantenere la famiglia, pagare il mutuo della casa e assicurare una formazione al figlio? È “amore a singhiozzo” quello per un padre o una madre che vivono a migliaia di chilometri e li si vede una, due volte l’anno o magari ancor più sporadicamente? Si amano, si vogliono bene solo quando s’incontrano?
È evidente che no. Torniamo, dunque, al principio. Molto spesso, per inerzia o per inconscia o calcolata convenienza, si cade nella trappola della manipolazione del linguaggio e si accetta l’assurdità di un’affermazione ben presentata, che suona bene e che magari contiene la famosa autogiustificazione della volpe, desiderosa di assaporare l’uva ma frustrata sotto la pergola: “Nondum matura est, nolo acerbam sumere”.
Le parole hanno un peso specifico e i verbi, soprattutto quelli che descrivono un atteggiamento attivo, hanno un valore aggiunto. Se il verbo, come nel nostro esempio è “amare”, non può essere coniugato “a singhiozzo” o “a momenti”. Le grammatiche non lo dicono, ma mentre il più profondo e gratuito dei sentimenti è vivo, lo si coniuga sempre senza soluzione di continuità.
Oppure si parla di ben altro, più prosaico e tangibile. E l'inganno ha raggiunto il bersaglio.

5 comentarios:

  1. È proprio così. A sprazzi non c'è spazio per la profondità e la profondità prescinde dal tempo e dallo spazio.

    ResponderEliminar
  2. Maria Laura Ruta24/10/15 14:15

    Ho due conoscenti che per motivi complessi abitano uno a Boston e l'altra a Vicenza. Si vedono due, tre, quando va bene quattro volte l'anno. Va avanti da sei anni ed è come il primo giorno.
    Ma a parte tutto ciò, voglio sottolineare anche che il linguaggio lo manipoliamo tutti i giorni tutti. L'importante è rendercene conto quando ne vale la pena e non vogliamo prenderci in giro.
    Com'è che ora scrive in italiano?
    Saluti da Vicenza.

    ResponderEliminar
  3. Soy un "Bolonio" y en esos años el italiano lo manejaba bastante. Pero esto es muy sesudo y articulado. Aunque en lo esencial estoy de acuerdo. Amar una día sí y uno no es tan absurdo como respirar a días alternos. O como cierra Ud., estamos hablando de otra cosa y entonces apaga y vámonos.

    ResponderEliminar
  4. E questo dovrebbe stupire? Guardiamoci attorno!
    Quando fa comodo e conviene, si chiudono gli occhi e si sposa qualsiasi slogan ben confezionato che ci colma come una buona torta al cioccolato che carica di (falsa) autostima.

    ResponderEliminar
  5. Elisabetta24/10/15 20:32

    Ma scusate, aldilá delle considerazioni generali sul linguaggio e le sue trappole, io farei un'altra considerazione.
    Uno che crede possibile vivere queste cose "a singhiozzo" è probabile che ci creda perché lui stesso è capace di farlo.
    Spesso è proprio così.
    Basta, vado a cenare perché mi si è aperto l'appetito.

    ResponderEliminar

Los comentarios serán moderados - I commenti saranno moderati