Nunca agradeceré suficientemente haber pasado por el latín y el griego en mis estudios juveniles. Y nunca sentiré suficientemente que las siguientes generaciones hayan progresivamente abandonado esas dos fuentes de nuestras lenguas, fuentes que entre sus utilidades prácticas más inmediatas tienen la de construir las frases, comprender las etimologías y colocar en su correcto lugar la puntuación.
Lo digo porque no hay día en el que, a la hora de leer los periódicos, no me tope con decenas y decenas de frases en las que veteranos periodistas olvidan que existen la coma, el punto y coma o el más firme punto. Signos que, entre otros, son importantes instrumentos para permitir tomar aliento o inducir al lector a la correcta comprensión.
Quiero detenerme en la aparente nimiedad de la coma, esa separación que por algún motivo veo, con alta frecuencia y sin conseguir comprenderlo, colocada para separar el sujeto del verbo. Es algo que me irrita y no poco, sobre todo porque de los signos de puntuación creo que la coma es la que más se presta a moldear y hacer inteligibles nuestros textos. Hasta el punto de que, cuando se coloca indebidamente, donde quisimos decir digo alguien será inducido a entender que pensábamos en Diego.
Muchos alumnos que han tenido la amabilidad de asistir a algunos de mis cursos sobre periodismo, a charlas o clases en universidades o academias, recordarán que les hice escribir en la pizarra una frase latina: “Ibis redibis non morieris in bello”. Es mi muletilla preferida porque creo que ninguna frase, come esta profecía atribuida a la Sibila Cumana y también a su hermana Apenínica, otorga a la tan maltratada coma el lugar, la dignidad y la importancia que le corresponde.
Una importancia vital que será fácil comprender también para quienes no hayan tenido la suerte de estudiar latín. Pues parece ser que un soldado romano, antes de partir hacia la guerra, viajó hasta el antro de la Sibila para que esta le vaticinara el futuro. Y la muy ambigua mujer sentenció: “Ibis redibis non morieris in bello”, lo que en castellano llano significa “Vete tú a saber...”. El quid de la cuestión reside en la ausencia de comas en la frase y de la total ausencia de entonación en el responso oral de la Sibila. Pero tampoco una colocación alegre de la puntuación aclararía las cosas.
Aquí estamos antes una cuestión de vida o muerte. Si escribiésemos “Ibis, redibis, non morieris in bello”díriamos “Irás, volverás, no morirás en la guerra”. Pero las cosas se tornarían trágicas escribiendo “Ibis, redibis non, morieris in bello” porque la traducción sería “Irás, no volverás, morirás en la guerra”. Más claro, agua. Más claridad sobre la importancia de la modesta coma, imposible.
El latín nos ofrece en este caso un magnífico ejemplo. Pero no es único ya que todas las lenguas pueden demostrar, hasta con una sonrisa, lo que dan de sí la tan maltratada coma y los demás signos. Os regalo un ejemplo del inglés.
“Woman without her man is nothing” no queda claro. Vamos, entonces, a colocar una coma y así, escribiendo “Woman, without her man, is nothing”, afirmamos que la mujer, sin su hombre, no es nada. Pero si con la colaboración de los dos puntos escribimos “Woman: without her, man is nothing”, entonces seremos nosotros, los hombres, titulares de una ubicación a ras del suelo.
Pues puntúen. Por favor y para que se les entienda. Y mucho más cuidado tendremos que tener quienes, manejando a diario más de una lengua, nos enfrentamos, además, con toda la corte de los “falsos amigos”. Que son numerosos, también en la puntuación.
Mai e poi mai sarò sufficientemente grato di essere passato per il latino e il greco nei miei studi giovanili. E mai mi spiacerà sufficientemente che le seguenti generazioni abbiano progressivamente abbandonato queste due fonti delle nostre comuni lingue, fonti che tra le loro utilità pratiche più immediate hanno quella di costruire le frasi, comprendere le etimologie e collocare nel luogo corretto la punteggiatura.
Lo dico perché non c’è giorno in cui, al momento di leggere i giornali, non m’imbatta in decine e decine di frasi nelle quali veterani giornalisti dimenticano che esistono la virgola, il punto e virgola o il più secco punto. Segni che, tra gli altri, sono importanti strumenti per consentire di prendere fiato o per indurre il lettore alla corretta comprensione.
Mi voglio soffermare nell’apparente leggerezza della virgola, questa separazione che per qualche motivo vedo, con molta frequenza e senza capirne la causa, ubicata come separazione tra il soggetto e il verbo. È qualcosa d’irritante, e non poco, soprattutto perché tra i segni della punteggiatura ritengo che la virgola sia quello che più si presta a configurare e rendere intellegibili i nostri testi. Fino al punto in cui, quando la virgola è collocata maldestramente, saremo indotti a capire fischi per fiaschi.
Molti alunni che hanno avuto la cortesia di assistere a qualcuno die miei corsi di giornalismo, a colloqui o lezioni in università o accademie, ricorderanno che feci scrivere sulla lavagna una frase latina: “Ibis redibis non morieris in bello”. È la mia preferita perché credo che nessuna frase, come questa profezia attribuita alla Sibilla Cumana e pure alla consorella Appenninica, conferisca alla tanto bistrattata virgola l’ubicazione, la dignità e l’importanza che merita.
Un’importanza vitale che sarà facile comprendere anche per chi non ha avuto la fortuna di studiare il latino. Sembra, dunque, che un soldato romano, prima di partire per la guerra, si recò all’antro della Sibilla affinché questa gli vaticinasse il futuro. E così l’ambigua donna sentenziò: “Ibis redibis non morieris in bello”, che in poche parole significa “Vallo a sapere…”. Il nodo della questione risiede nell’assenza di virgole nella frase e della mancanza d’intonazione nella risposta orale della Sibilla. In ogni caso, neppure una disinvolta sistemazione della punteggiatura avrebbe fatto chiarezza.
Qui ci troviamo dinanzi a una questione di vita o di morte. Se scrivessimo “Ibis, redibis, non morieris in bello”, diremmo “Andrai, tornerai, non morirai in guerra”. le cose, invece, andrebbero male scrivendo “Ibis, redibis non, morieris in bello” perché la traduzione sarebbe “Andrai, non tornerai, morirai in guerra”. Più chiaro di così, impossibile. Più chiarezza di questa sull’importanza della modesta virgola, impossibile.
Il latino ci offre in questo caso un magnifico esempio, ma non è l’unico perché tutte le lingue possono dimostrare, persino con un sorriso, quanto possono apportare la tanto maltratta virgola e gli altri segni. Vi offro un esempio dell’inglese.
“Woman without her man is nothing” non fa chiarezza. E allora, collochiamo una virgola e, scrivendo “Woman, without her man, is nothing”, affermiamo che la donna, priva del suo uomo, è meno di niente. Se però, con la collaborazione dei due punti, scriviamo “Woman: without her, man is nothing”, allora saremo noi, gli uomini, titolari di un’ubicazione che ci farebbe mordere la polvere.
Fate uso della punteggiatura. Per favore e per farci capire. E ancora, molta attenzione dovremo prestare noi che, con l’uso quotidiano di più lingue, dobbiamo fare i conti anche con tutta la corte dei cosiddetti “falsi amici”. Sono numerosi, anche a causa della punteggiatura.
Eso de la coma y de la puntuación en general es hilar muy fino. Si sólo se tratara de eso. El drama es que, según el informe PISA y otros, suempre sale que nuestros chicos, que luego serán periodistas o lo que se tercie, ni siquiera entiente las preguntas.
ResponderEliminarPedir que sepan escribir, cuando muchos profesor ni saben hablar, es equivalente a creer ciegamente en la lotería nacional.
Pero ¡viva la coma!
Imanol R.
Lei è un ottimista, ma fa bene a insistere. Gli Sms e la posta elettronica hanno avuto il vantaggio di far scrvere chi non scriveva, ma allo stesso tempo favoriscono la scrittura rapida e sgrammaticata.
ResponderEliminaril problema risiede a monte. Se a scuola non sanno parlare e scrivere molti insegnanti, che scrivono come parlano, troppo spesso male, come possiamo sperare che si mantenga una certa pulizia della lingua?
Tempi duri per la lingua.
Complimenti, comunque, per la sua difesa della piccola grande virgola.
Giovanni Arcuri - Roma