Han matado
virtualmente a mi viejo y querido amigo Manu Leguineche, periodista de antaño,
enviado especial de guerras y de referencia, maestro de generaciones de
plumíferos, profesional de la quinta de los irrepetibles. Irrepetible, sí,
porque la modernización (¡Qué palabra más ambigua y engañosa!) hizo traspapelar
su molde.
Pero a Manu no se le puede matar, ni
virtualmente. Porque el día que se irá (le toca a todos) él se irá quedándose.
Y no en la cache de Google, que es el único reducto de pseudogloria al que la mayoría
podrá aspirar. Manu (siempre te veo en las calles lisboetas de los claveles, o
cuando te “confesé” en Radio Nacional y tú creías que era un viejo amigo,
canónigo en Roma…): no saben que contigo no
pueden ni podrán escribir epitafios. El tuyo ya lo escribiste tú, hace mucho tiempo, con
la biografía de una vida intensa dedicada a este maravilloso y hoy
irreconocible oficio.
No tengas prisa, Manu. En tu Alcarria del
descanso, tómatelo con mucha calma. A lo mejor me adelanto y así te doy un
telefonazo para decirte si merece la pena ir o quedarse. Pero aquí, en estas
líneas, déjame que haga de cronista y de notario, porque en los momentos del
revuelo, de las prisas y de la deontología hecha añicos, alguien no olvidó lo
básico.
Pues sí, alguien hizo algo que está en el
abecedario de una profesión siempre más aproximativa, apresurada, fragmentada,
superficial. Y que ha hecho méritos (¡se lo ha currado!) para ser siempre menos
creíble, menos respetada y más abierta a la improvisada indocumentación. Alguien
– decía – agarró
el teléfono y llamó a tu casa alcarreña, Manu, para cerciorarse, para hacer lo que
antaño se definía “confirmar la noticia”.
Ese “Alguien” tiene 81 años y se llama
Enrique Meneses. No es un periodista 2.0, pero si algún joven periodista
español (y no sólo español) no sabe quién es, una de tres: no ha leído lo
suficiente, tiene una gran carencia de fósforo entre sus sinapsis, o se ha
equivocado de profesión.
Así lo pienso y así lo escribo. Aun sabiendo
que puede molestar. También para molestar nos hicimos periodistas.
Un gran abrazo, Manu.
Josto
P.S. - Faltaría a la deontología a la que me refiero más arriba
si no dijera: "Gracias a Pilar de la Peña, de Radiocable, por el input".
Hanno ucciso virtualmente il mio vecchio e caro amico
Manu Leguineche, giornalista di altri tempi, inviato speciale di guerre e di
riferimento, maestro di generazioni di colleghi, professionista dei coscritti
irripetibili. Irripetibili, sì, perché la modernità (che parola ambigua e
ingannevole…) fece smarrire lo stampo con cui furono coniati.
Manu, in ogni caso, non lo si può uccidere, neppure virtualmente. Perché il giorno in cui se ne andrà (capita a tutti) lui se ne andrà restando. E non nella cache di Google, unico ridotto della pseudo-gloria cui la maggioranza potrà aspirare. Manu (ti rivedo sempre per le vie della Lisbona dei garofani, o quando ti “confessai” a Radio Nacional e tu credesti che ero un vecchio amico, un canonico romano…), non sanno che con te non possono né potranno scrivere epitaffi. Il tuo lo hai già scritto tu, molto tempo fa, con la biografia di una vita intensa dedicata a questa meravigliosa e oggi irriconoscibile professione.
Non avere fretta, Manu. Nella tua Alcarria del riposo, prenditela con molta calma. È possibile che ti passi davanti, così ti potrò telefonare per dirti se vale la pena dipartire o restare quaggiù. Nel frattempo, qui, in queste righe, lasciami fare il cronista e il notaio, perché nei momenti della confusione, della fretta e della deontologia fatta a pezzi, c’è qualcuno non ha dimenticato le cose basilari.
Sì, qualcuno ha fatto qualcosa che sta nell’abbecedario di una professione sempre più approssimativa, frettolosa, frammentata, superficiale. E che ha fatto di tutto (se lo è lavorato a dovere…) per essere sempre meno credibile, meno rispettata e più aperta all’improvvisazione più irresponsabile. Qualcuno – dicevo – ha afferrato il telefono e ha chiamato la tua casa dell’Alcarria, Manu, per verificare, per fare ciò che un tempo si diceva “confermare la notizia”.
Quel “Qualcuno” ha 81 anni e si chiama Enrique Meneses. Non è un giornalista 2.0. ma se qualche giovane giornalista spagnolo (e non solo spagnolo) non sa chi sia, ci sono solo tre possibilità: o non ha letto a sufficienza, o è privo di fosforo tra le sue sinapsi, oppure ha proprio sbagliato professione.
Così penso e così scrivo. Anche se so bene che può molestare. Già, ma siamo diventati giornalisti anche per molestare.
Un grande abbraccio, Manu.
Josto
Manu, in ogni caso, non lo si può uccidere, neppure virtualmente. Perché il giorno in cui se ne andrà (capita a tutti) lui se ne andrà restando. E non nella cache di Google, unico ridotto della pseudo-gloria cui la maggioranza potrà aspirare. Manu (ti rivedo sempre per le vie della Lisbona dei garofani, o quando ti “confessai” a Radio Nacional e tu credesti che ero un vecchio amico, un canonico romano…), non sanno che con te non possono né potranno scrivere epitaffi. Il tuo lo hai già scritto tu, molto tempo fa, con la biografia di una vita intensa dedicata a questa meravigliosa e oggi irriconoscibile professione.
Non avere fretta, Manu. Nella tua Alcarria del riposo, prenditela con molta calma. È possibile che ti passi davanti, così ti potrò telefonare per dirti se vale la pena dipartire o restare quaggiù. Nel frattempo, qui, in queste righe, lasciami fare il cronista e il notaio, perché nei momenti della confusione, della fretta e della deontologia fatta a pezzi, c’è qualcuno non ha dimenticato le cose basilari.
Sì, qualcuno ha fatto qualcosa che sta nell’abbecedario di una professione sempre più approssimativa, frettolosa, frammentata, superficiale. E che ha fatto di tutto (se lo è lavorato a dovere…) per essere sempre meno credibile, meno rispettata e più aperta all’improvvisazione più irresponsabile. Qualcuno – dicevo – ha afferrato il telefono e ha chiamato la tua casa dell’Alcarria, Manu, per verificare, per fare ciò che un tempo si diceva “confermare la notizia”.
Quel “Qualcuno” ha 81 anni e si chiama Enrique Meneses. Non è un giornalista 2.0. ma se qualche giovane giornalista spagnolo (e non solo spagnolo) non sa chi sia, ci sono solo tre possibilità: o non ha letto a sufficienza, o è privo di fosforo tra le sue sinapsi, oppure ha proprio sbagliato professione.
Così penso e così scrivo. Anche se so bene che può molestare. Già, ma siamo diventati giornalisti anche per molestare.
Un grande abbraccio, Manu.
Josto
¡Uyyy...! ¡Qué pifia! Pero no puedo creer que haya gente de la profesión que no sepa de Manu Leguineche. Por él y por algunos otros estoy en la facultad, aun sabiendo que a lo mejor/peor cuando acabe no habrá salida.
ResponderEliminarLarga vida a Manu.
Elisa
No es el primero ni tampoco será el último "liquidado" por el periodismo de Internet. Demasiada prisa, demasiada improvisación.
ResponderEliminarPero ¿qué pasa si una noticia tarda diez minutos más, pero se ha comprobado? A mí lector saber al instante no me aporta nada. Sólo desconfianza.
Juanjo Casares, Alcira
Después de enterarme de la falsa noticia, estaba buscando "muerte virtual" en Google, ya que de esto se trata. Veo que aquí escribe alguien que a Leguineche le conoce y que no es muy tierno con sus colegas. Muy bien. Ahora que veo quien es Usted, lo que escribe casa mucho con la opinión que me había hecho a través de la radio y de la tele.
ResponderEliminarPues un saludo, mañana que es sábado seré su “escuchante”.
Marta Casanueva
Cuando Leguineche y Meneses nos contaban guerras y otros conflictos, a lo mejor podían no saber cuantas fueron las balas o los navajazos. Pero si decían que alguien había muerto, es que ya no vivía. Así de sencillo.
ResponderEliminarLarga vida a Los Manu y Enrique.
Luisa Castañeda - Cáceres
Muy bueno eso de "... en los momentos del revuelo, de las prisas y de la deontología hecha añicos, alguien no olvidó lo básico".
ResponderEliminarPero es más excepción que regla. Cada día más.
¡Qué lástima!
Fernando
Y ¿qué dice de todo esto el mismo Leguineche? Espero que tenga ganas y fuerzas para escribir algo sobre su muerte. Seguro que sería una pieza magistral.
ResponderEliminarCarlos P.