(75) Periodistas “perioactivistas”, la independencia en la que ni ellos mismos creen. Yo muchos menos Giornalisti “giornattivisti”, l’indipendenza in cui neppure loro stessi credono. Io molto meno

Entre las cosas que me revuelven, un día sí y otro también, están las afirmaciones de unos cuantos periodistas (muchos, demasiados y de ambos sexos) que insisten sobre su propia imparcialidad y equilibrio: «Yo trato a todos de la misma manera». Luego ocurre que hasta un invidente marciano que entendiese sólo el arameo se daría cuenta de que con un entrevistado se es condescendiente mientras que a otro, de opuesto o lejano signo ideológico, se le pregunta y repregunta con el intento de que se meta en jardín o en un callejón sin salida. A veces hasta llegando al auténtico acoso.

  Esto ocurre a un lado y al otro del espectro político. Y en ambos lados, muchos periodistas – cada uno con su plumero bien visible, conocido y consolidado en el tiempo – pretenden que sigamos tragándonos su supuesta toma de distancia de la parcialidad.

  Por favor, que no tomen el pelo a lectores, oyentes y telespectadores.  Que no insulten la inteligencia. Que en la profesión, más o menos, todos nos conocemos y sabemos hasta de quien es primo ese o esa colega y para quien trabaja la mujer, el marido, el hijo y el sobrino de su tía Pepi. Que estamos en el año 2011, que al final todo se sabe.

  De veras, no nos tomen el pelo. Se lo ruega un colega que puede permitirse el lujo de no haber poseído nunca un carnet, tampoco de haber militado, mucho menos de simpatizar y menos todavía de hacer, decir o escribir algo a favor o en contra, salvo que se trate de opinión firmada y alejada del relato objetivo. ¿No se lo creen? Pues allí están las hemerotecas de cuatro abundantes décadas.

  ¿Quieren seguir militando y apoyando a alguien? Si quieren y se lo permite el medio, háganlo. Pero que digan con toda claridad donde se colocan y de quienes son forofos. Para que algunos no les viésemos tan falsos y patéticos y el público en general no siguiera creyendo siempre menos en esta que sigue siendo un bonita profesión. Cargada de mucha responsabilidad, a lo mejor demasiada para ciertos colegas que no consiguen dejar en casa su militancia política.

 

*** De los medios que se proclaman “independientes” (¿De las subvenciones públicas? ¿De las contratas? ¿De las campañas institucionales? ¿De las leyes ad hoc?) ya hablaremos otro día.

 

 

Tra le cose che più m’indignano, un giorno sì e l’altro pure, ci sono le affermazioni di un bel po’ di giornalisti (molti, troppi e di entrambi i sessi) che insistono sulla propria imparzialità ed equilibrio: «Io tratto tutti allo stesso modo». Poi succede che anche un non vedente marziano in grado di capire solo l’aramaico si renderebbe conto che con un intervistato si è condiscendenti mentre a un altro, di opposto o lontano segno ideologico, si fanno domande e contro-domande nel tentativo di farlo cadere in una contraddizione o in una trappola. Molto spesso si giunge a evidenti attacchi.

  Tutto ciò accade da una parte e dall’altro dello spettro ideologico. E in entrambi i lati, molti giornalisti – ciascuno con la propria militanza nota, ben evidente e consolidata nel tempo – pretendono che noi si continui a “bere” la loro presunta presa di distanza dalla parzialità.

  Per favore, che non prendano in giro lettori, ascoltatori e telespettatori. Che non insultino l’intelligenza. Perché nella professione, suppergiù, tutti ci conosciamo e sappiamo di chi è cugino quel o quella collega e per chi lavorano la moglie, il marito, il figlio e il nipote della zia Carlotta. Ci troviamo nel 2011 e alla fine tutto si viene a sapere.

  Sul serio, che non ci prendano in giro. Lo chiede un collega che può permettersi il lusso di non aver mai posseduto una tessera, di non aver militato, molto meno di aver simpatizzato e ancora meno di fare, dire o scrivere qualcosa a favore o contro, salvo che si tratti di opinioni firmate e staccate dal racconto obiettivo dei fatti. Non lo credono? A disposizione ci sono oltre otto lustri di emeroteca.

  Vogliono continuare a militare e sostenere qualcuno? Se lo vogliono e lo consente il mezzo d’informazione, che lo facciano pure. Dicano, però, con la massima chiarezza, dove si collocano e per chi fanno il tifo. Per evitare di vedere alcuni tanto falsi e patetici e far sì che il pubblico, in generale, continui a credere sempre meno in questa che è pur sempre una bella professione. Una professione carica di molte responsabilità, forse troppe per certi colleghi che non riescono a lasciare a casa la loro militanza politica.

*** Dei media che si proclamano “indipendenti” (dalle sovvenzioni pubbliche, dalle concessioni, dalle campagne istituzionali, dalle leggi ad hoc?) parleremo un altro giorno.