Hay
momentos en los que es agradable tener que rectificar o, de cualquier manera,
modular cierta visión algo consolidada de nuestro propio entorno. El entorno
más próximo, el más amplio de la sociedad y que ahora es parte de nuestras
vidas; también el entorno virtual. O, mejor dicho, ese mundo con el que no tenemos
un contacto físico de cercanías y que, sin embargo, está más cerca de lo que
parece por la virtualidad digital ofrecida en los medios informáticos.
Larga premisa para ser bastante breve. Lo que
quiero decir, y lo digo como individuo y al mismo tiempo como periodista que
ejerce de cronista, es que cada día se confirma eso de que generalizar y
escupir sentencias apresuradas es siempre un error. Lo que no excluye la
adopción de la más elemental prudencia, siempre evitando lanzar las campanas al
vuelo.
Constato que Internet y todos sus barrios –
redes sociales, blogs, foros, etc. – presentan un aspecto, como diría un
francés, double face. Por ejemplo, miremos al anonimato ofrecido por una
identidad declarada en Twitter, Facebook o donde sea. Sería apresurado juzgar.
Puede obedecedor al deseo de atrincherarse para cualquier posible presente y
futura fechoría. Pero puede hundir sus raíces en una innata timidez, en la
justificada búsqueda de privacidad o, también, en consideraciones prácticas de oportunidad
que cada uno pueda valorar útiles o necesarias para su personal situación.
Bien, vayamos hacia la conclusión. Mucho he
escrito, como periodista, sobre la comunicación y sus múltiples vías. Aquí y
ahora, lo que quiero es recalcar otra vez que todo lo escrito y dicho, y no sólo
por mi teclado, en un debate permanente que allí está en la sociedad, siempre
hay que matizarlo. Internet no es el infierno ni sus habitantes son demonios.
Haberlos haylos, claro, y es suficiente abrir un explorador y echar un vistazo.
Lo mismo que pasa asomándose a la ventana, mirando la tele, escuchando la
radio, leyendo un periódico o revista, o dándose una vuelta en cualquier calle,
en cualquier local. Internet es la vida misma. Con la posibilidad de acentuar y
multiplicar lo bueno y lo malo, lo sublime y el mismísimo contenido de las
cloacas, por consentir cierto anonimato que puede traducirse en pantalla de la
cobardía y en impunidad.
Pero hay que reconocer, alto y claro, que en
la Red hay espacio para la sonrisa no necesariamente vulgar o chabacana, para
la educación y hasta para el debate sereno y constructivo - ¡milagro! - comprimido
en 140 caracteres. ¿Por qué escribo esto y ahora? Porque me estoy tomando un
café, tengo abierto Twitter y allí, por ejemplo, no tengo dificultad en el
diálogo con un buen número de usuarios, hasta en la divergencia o en la discrepancia.
Para los excesos insoportables, siempre nos queda el último recurso: “Block”.
Ci
sono momenti nei quali è gradevole dover rettificare o, almeno, modulare una
certa visione consolidata di ciò che ci circonda. L’ambiente più prossimo, il
più ampio della società che ora è parte della nostra vita; anche il mondo virtuale.
O meglio, quel mondo co cui non abbiamo un contatto fisico della vicinanza e
che, ciò nonostante, è più prossimo di quanto lasci intravedere la virtualità
digitale offerta dai mezzi informatici.
Una lunga premessa per poi essere breve. Ciò
che intendo dire, e lo affermo come individuo e allo stesso tempo come
giornalista che fa il cronista, è che ogni giorno si conferma che generalizzare
e sputare sentenze frettolose è sempre un errore. Il che non esclude l’adozione
della più elementare prudenza, sempre evitando di entusiasmarsi troppo.
Rilevo che Internet e tutti i suoi quartieri –
social networks, blogs, fori, ecc. – presentano un aspetto, come direbbe
un francese, double face. Guardiamo,
per esempio, all’anonimato offerto da un’identità dichiarata in Twitter, Facebook
o in qualsiasi angolo preferiamo. Sarebbe
frettoloso giudicare. Può obbedire al desiderio di trincerarsi per qualsiasi
presente o futura malefatta. Può però affondare le sue motivazioni in un’innata
timidezza, nella comprensibile ricerca della privacy o, anche, in
considerazioni pratiche sull’opportunità che ciascuno può valutare riguardo
alla propria situazione personale.
Bene, ci avviamo verso la conclusione. Molto ho
scritto, come giornalista, sulla comunicazione e le sue molteplici vie. Qui e
ora, ciò che intendo è ribattere ancora una volta che tutto quanto è stato
scritto e detto, en non solo con la mia tastiera, in un permanente dibattito
che sta nella società, dev’essere sempre precisato. Internet non è l’inferno né
i suoi abitanti sono demoni. Ci sono, è chiaro, ed è sufficiente aprire un browser
per rendersene conto. La stessa cosa che accade quando schiudiamo una finestra,
guardiamo la tv, ascoltiamo la radio, leggiamo un giornale o facciamo un giro
in qualsiasi strada, in qualsiasi locale. Internet è la vita. Con la
possibilità di accentuare e moltiplicare le cose buone e le cattive, il sublime
e lo stesso contenuto delle cloache, perché consente un certo anonimato che può
tradursi in schermo della codardia e dell’impunità.
Dobbiamo però riconoscere, alto e chiaro, che
nella Rete c’è spazio per il sorriso non necessariamente volgare, per l’educazione
e persino per il dibattito sereno e costruttivo – miracolo! – compresso in 140
caratteri. Perché scrivo queste cose e lo faccio ora? Perché sto degustando un caffè,
ho aperto Twitter e lì, per esempio, non ho difficoltà nel dialogo con un certo
numero di utenti, anche nella divergenza e nella diversità. Per gli eccessi
insopportabili, sempre ci resta l’ultima risorsa: “Block”.
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